»»Verso il Mare Baltico, seconda parte

La macchina rossa superò la barriera delle 200 milla kilometri in qualche parte della Polonia. Il Baltico ha qualcosa di nessuna parte e viaggiare a nessuna parte la desolazione della che tante volte la fotografia si impadronisce. Ed ha anche il silenzio che immagazzinano le sue acque. Il fatto di essere uno dei mari meno profondi della Terra.

Ma non puoi fotografare il silenzio, mi disse mia figlia prima di arrivare a Katowice.

Come posso fotografare il silenzio con un filtro ND? mi chiesi.

Fotografo con la mente guardando sempre davanti, mentre ci addentriamo nella Polonia più profonda, dove le autostrade perdono quel tono che li separa dal paesaggio. E si, la velocità ci isola dal contesto. Ed appaiono boschi sul bordo dell’asfalto dicendomi che essi sono lì prima di me. Ed appaiono incroci di strade e semafori a raso in un paesaggio sempre più pianeggiante. In qualche momento le montagne si fecero storia. Forse nello stesso momento in cui il verde invase l’abitacolo della macchina dove noi tre improvvisavamo un gioco.

Penso a Blade Runner entrando all’ostello di Katowice. Il palazzo decadente, il portiere, la distanza di una cultura e di una lingua che non capisco, ed il suo angolo dove ha il pc col quale controlla le prenotazione on line, e poi la scala che ci conduce alla stanza, la doccia che le donne decidono non usare, le voci di tanti paesi che non riesco ad immaginare. Vecchi che fumano reclinati in un divano di finta pelle, una coppia che si abbraccia lontani da tutto tranne dal loro amore, donne che cucinano, bambini che corrono per il corridoio. La fotografia ed il cinema, la fotografia e la letteratura, la fotografia ed il viaggiare a nessuna parte.

Al terzo giorno avevamo già attraversato l’Europa, e ci affacciamo al balcone di Gdansk sul Baltico, e il suo grigiore e le sue nuvole che strisciano dal nord altre mie spalle, un posto dal quale una parte di me fuggiva.

Lessi in qualche libro che i viaggi sono segreti, misteriosi e diretti in nessun posto tangibile che possiamo dominare, quello che il corpo conserva dentro di se. Io sapevo che c’era un ritorno. Lo che non sapevo era se fossimo rimasti noi stessi.

Nel pontile Orlowie, tra Gdansk e Gdynia, apri il cavelletto, installai la camera, misurai la luce attraverso il gran angolare nudo, misi il filtro di 16 stop, applicai la formula e sparai e sparai verso Redwolo, un promontorio che cadeva all’acqua.

Come posso fotografare il silenzio con un filtro ND?

Non lo so. Quello che so, è che avevo iniziato la serie in Ischia, Italia, un paio di anni prima. E che l’ho seguita lentamente scattando in differenti posti. È il minimalismo e l’effetto vellutato delle acque quello che mi catturano. Non sono io nel catturare immagini. Sono l’immagini che mi attirano a loro. O forse un virus che ho nella mia testa.

(tradotto dall’originale, scritto in spagnolo)

2019-02-23T19:15:16+01:00

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